di Roberto Carrasco, OMI
Usammo la metodologia di Paulo Freire:
Quando ero nella missione, ricordo che una delle cose belle che ho imparato è parlare ai indigeni con le parole generatrici selezionate dalla loro cultura ed ambiente. Mi facevo ogni tanto questa domanda: Come intregrare tutto quello che imparava dagli stessi indigeni, la loro religiosità, la loro storia, le abitudini, i miti, i racconti, i canti che hanno raccolto ed organizzato i primi missionari in questa parte dil mondo?
Ricordo le parole dal P. Juan Marcos, e come lui, ogni tanto quando la solitudine è vicina, pensavo nella catechesi, nella predicazione… non sono uno studioso né un accademico, non sono antropolocné linguista, ma la conoscenza che mi hanno offerto gli anziani, conosco qualcosa dei loro miti, dei loro canti, della loro grammatica. C’è un dizionario KICHWA – CASTELLANO, che è il prodotto dal lavoro dei padri Juan Marcos Mercier e José Miguel Goldáraz… quanto gli ringrazio a loro, sono miei maestri nella missione tra indigeni amazonici.
La convivenza, la amicizia, anche delle domande per cercare capire questo mondo dove ho visuto, me porta a scrivere questo articolo. Quando ascoltava la lezione dal capitolo sesto, ho ricordato, subito… quel modelo napuruna, proprio della cultura napuruna, che ha una similitudine al modelo proposto per Paulo Freire: osservare la relazione tra genitore e figli per vedere se lo stile che usano entrava in sintonia con la famiglia e l’ambiente. Mentre che il missionario visitava tutte le scuole per controllare il processo educativo, inoltre, una missionaria si incaricava di svolgere le pratiche ufficiale per il Minitero di Educazione molto lontano, nella cità.
P. Juan Marcos tante volte raccontava che gli indigeni respingevano ciò che gli era proprio: dopo tanti anni di maltrattamento e disprezzo della loro cultura, considerandola arretrata e primitiva di fronte al mondo occidentale civilizzato, loro volevano imparare quello che imparano «i bianchi» e perfino si vergognavano delle loro conoscenze, della loro lingua, delle loro abitudini. Anzi il compito fu duro in quei primi tempi, ma poco a poco germinarono le ricchezze della cultura come se fossero state sommerse nelle acque del fiume per uscire per qualque momento in superficie: «STRAPPARONO I NOSTRI FRUTTI, TAGLIARONO I NOSTRI RAMI, BRUCIARONO IL NOSTRO TRONCO, MA NON POTERONO STRAPPARE LE NOSTRE RADICE».