Riguarda la partecipazione attiva dei popoli per la difesa dell’Amazzonia, dei suoi biomi, dei suoi territori e delle popolazioni che vivono sotto costante minaccia.
di Roberto Carrasco, OMI
L’Amazzonia e con essa tutti i suoi popoli vengono colpiti dalla pandemia in maniera feroce. Si tratta di una forza enorme che esercita una grande pressione sulla vita delle persone, al punto che le popolazioni indigene, oltre a continuare la difesa dei loro territori contro la forza dell’estrattivismo imperante, ora devono anche affrontare l’avanzata di un virus che ogni giorno devasta le popolazioni ancestrali, al punto da mettere in pericolo la sopravvivenza delle popolazioni più vulnerabili, ad esempio le popolazioni in isolamento e quelle in contatto iniziale.
A ciò si aggiunge l’esclusione storica dei loro diritti e l’assenza di uno stato che non ha potuto garantire servizi di base e infrastrutture sanitarie ed educative. Com’ è possibile che le acque dolci dell’Amazzonia rappresentino dal 15% al 20% dell’acqua dolce nel pianeta, e che ancora esistano popolazioni senza acqua potabile per affrontare le gravi conseguenze di una pandemia che è arrivata a mettere a rischio le persone più vulnerabili?
Non sono solo le popolazioni indigene a trovarsi in grave situazione di vulnerabilità, ma ci sono anche migranti, afro-discendenti, la stessa popolazione urbana stanziata in grandi città come Manaus e Iquitos, che sta soffrendo in grandi proporzioni del contagio di Covid 19. È noto che la maggior parte delle popolazioni che abitano le periferie di queste grandi città sono popolazioni indigene che hanno lasciato le loro terre alla ricerca di migliori opportunità di vita.
Il 18 e 19 luglio si è svolta la prima Assemblea Mondiale per l’Amazzonia. Il risultato è stata una Dichiarazione che segnala: «Perché ecocidio, etnocidio e terricidio avanzano peggio del virus»[1]; inoltre chiama la popolazione mondiale a realizzare insieme azioni che liberino l’Amazzonia e le persone che la abitano da gravi rischi di vita e che vanno oltre la pandemia.
La devastazione che le foreste amazzoniche subiscono ogni giorno, e i gravi rischi di esistenza che si avvicinano e tengono lo sguardo fisso su tutti i biomi che compongono la Panamazzonia, sono oggetto di discussioni e dibattiti seri che propongono alla popolazione mondiale di cercare un dialogo comune con tutti i popoli ancestrali del mondo, perché non si tratta solo dell’Amazzonia, ma dell’intera casa comune. Allora quello che può accadere alla casa comune ci coinvolge tutti perché «un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio»[2].
Per concludere, facciamo nostra la campagna che è iniziata questa settimana: AMAZZONIZZA-TI. Facciamo in modo che i leaders dei popoli e delle comunità tradizionali articolino azioni per la cura della casa comune. La Chiesa in Amazzonia ha aderito a questo compito, alleandosi con le popolazioni indigene; così pure hanno fatto diverse organizzazioni ecclesiali, artisti, formatori di opinione, scienziati e ricercatori.
[2] Discurso en Santa Bárbara, California (8 noviembre 1997); cf. John Chryssavgis, On Earth as in Heaven: Ecological Vision and Initiatives of Ecumenical Patriarch Bartholomew, Bronx, New York 2012.
Traduzione dallo spagnolo di Antonella Rita Roscilli
Un comunicatore sociale cattolico ha la responsabilità di dire alla gente la verità. Il tema fondamentale del Sinodo non era l’ordinazione degli uomini sposati. È un peccato che alcuni media che si definiscono cattolici trattino questo problema con molta morbosità, diventando parte di alcuni settori conservatori che sfruttano questo tipo di disinformazione per i propri interessi.
Papa Francesco nell’ultima Esortazione Apostolica esprime il carattere speciale che nutre per l’Amazzonia, perché per lui l’Amazzonia è un essere vivente che oggi soffre e urla di dolore e ci interroga perché ci fa vedere come stiamo trattando la natura.
Caminando hacia una Iglesia con rostro indígena
Un sogno condiviso
«QUERIDA AMAZONÍA» è un sogno diventato realtà. Un sogno di molti missionari che aspettavano il giorno in cui questo problema diventasse motivo di grave preoccupazione per la Chiesa.
Francesco condivide questo sogno perché ha messo i suoi occhi e il suo cuore in un posto molte volte dimenticato nel mondo e da lì invita tutti noi ad affrontare la sfida davanti a questa realtà. Francesco ama l’Amazzonia e lo esprime al punto che inizia la sua esortazione con poche parole molto affettuose: Cara Amazzonia. Questa è la cosa più bella che la Chiesa sia stata in grado di esprimere verso i popoli originali di una regione del mondo.
Ma questa Esortazione Apostolica è un documento non solo per i popoli o la chiesa dell’Amazzonia. È indirizzato a tutte le persone di buona volontà. È il risultato di un processo, di un intero processo di ascolto. Processo che ha significato un momento di grazia nel Sinodo. Questa Esortazione è integrata dai contributi sinodali che sono stati espressi, discussi, chiariti e analizzati nel Documento finale del Sinodo. Dobbiamo ricordare che il Documento finale del Sinodo è una cosa e l’Esortazione Apostolica è un’altra, e ciò di cui siamo più felici è che l’Amazzonia entra come un soggetto che ha un forte carattere ecclesiale.
Il Santo Padre Francesco ha potuto presentare a tutta la Chiesa un’esortazione pensando non solo all’America Latina, ma a ogni realtà ecclesiale che richiede conversione. Ci sono alcuni settori della chiesa che dovrebbero aprirsi per comprendere questa realtà, perché finché non lo faranno, non saranno in grado di comprendere né Papa Francesco, né l’enciclica Laudato Si ‘, né il suo Magistero.
L’idea è che ci lasciamo sollecitare da questo sogno di Francisco. «QUERIDA AMAZONÍA» è un sogno condiviso. Il punto 7 dell’Esortazione è un vero e proprio riassunto:
Sogno un’Amazzonia che combatte per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce viene ascoltata e la loro dignità viene promossa. Sogno un’Amazzonia che preservi quella ricchezza culturale che la mette in luce, dove brilla in modi così diversi la bellezza umana. Sogno un’Amazzonia che custodisce gelosamente la travolgente bellezza naturale che la adorna, la vita straripante che riempie i suoi fiumi e giungle. Sogno comunità cristiane capaci di arrendersi e incarnarsi nell’Amazzonia, fino al punto di regalare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici .
I viri probati
Nel quarto capitolo del Documento finale del Sinodo questo tema appare come un contributo dei padri sinodali. È uno dei tanti argomenti che sono stati toccati, ma non il più importante. Con questa Esortazione Apostolica, Papa Francesco sembra conciliare due settori della chiesa, l’America Latina e il settore ultra-conservatore, in generale nel nord Europa e negli Stati Uniti. È falso che il Sinodo intendesse ridurre la questione dei viri probati come se fosse la questione cruciale di questo sinodo speciale. Sappiamo che il tema principale del Sinodo erano i «nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale». Leggiamo il numero 91 del Documento finale: Con audacia evangelica, vogliamo implementare nuovi percorsi per la vita della Chiesa e il suo servizio per un’ecologia integrale in Amazzonia.
Altri temi che ci sfidano
Il Papa esprime al numero 85 dell’esortazione: l’inculturazione deve essere sviluppata e riflessa in un modo incarnato di attuare l’organizzazione ecclesiale e la ministerialità: Se la spiritualità si incultura, se la santità si incultura, se il Vangelo si incultura, come possiamo evitare di pensare a un’inculturazione del modo in cui i ministeri ecclesiali sono strutturati e vissuti?
La pastorale della Chiesa ha una presenza precaria in Amazzonia, dovuta in parte all’immensa estensione territoriale con molti luoghi di difficile accesso, grande diversità culturale, gravi problemi sociali e la scelta di isolarsi da parte di alcuni popoli. Questo non può lasciarci indifferenti e richiede una risposta specifica e coraggiosa dalla Chiesa.
Ci sono seri problemi nel territorio panamazzonico ed è per questo che alla chiesa sono richieste risposte nello stile di Gesù. Non possiamo rimanere nel comfort delle nostre case, auto, poltrone o con i nostri buoni cuscini nel letto. Dobbiamo abbandonare questo e riconfigurare la nostra ministerialità di servizio.
Bene, ora tocca ai vescovi e ai superiori delle congregazioni religiose adottare questo insegnamento e inviare persone preparate in Amazzonia. Roma ha un’alta presenza di sacerdoti, tra quelli che studiano e quelli che fanno carriera. Quale sarà l’ubicazione finale e reale di molti di loro? Continuano a mettere in discussione le vocazioni ministeriali e missionarie della chiesa. Lo afferma chiaramente il Papa quando indica che le persone hanno bisogno della celebrazione dell’Eucaristia perché questa ‘fa la Chiesa’ e arriviamo a dire che ‘non si costruisce nessuna comunità cristiana se questa non ha le sue radici e il suo centro nella celebrazione della Santa Eucaristia’. Se crediamo veramente che sia così, è urgente impedire alle popolazioni amazzoniche di essere private di quel cibo di nuova vita e del sacramento del perdono. Ecco perché vescovi e superiori ora «hanno la palla in campo».
[Traduzione dallo spagnolo all’italiano di Antonella Rita Roscilli]
La prima settimana del Sinodo per la Regione Panamazzonica è già trascorsa. Un evento che da diversi mesi ha generato, sia nell’uno che nell’altro settore della Chiesa, innumerevoli dubbi, paure, reazioni, false letture e percezioni e, d’altra parte, ha generato speranza, apertura, gioia, ma soprattutto, incontro.
Il 4 ottobre, Papa Francesco ha piantato un piccolo albero verde. L’intenzione era chiara: consacrare il Sinodo Panamazzonico a San Francesco di Assisi, patrono dell’ecologia, e con questo gesto concludere il mese di settembre, dedicato al tempo della Creazione. La cosa curiosa, per così definirla, è stata la presenza di alcuni rappresentanti dei leaders indigeni, che insieme ai missionari della ‘Equipe itinerante’, in mezzo a canti, gesti e un’intera simbologia propria dei popoli dell’Amazzonia, hanno ringraziato Dio per questo incontro che hanno avuto con Papa Francesco e per chiedere che il Sinodo ci portasse buoni frutti, nuove strade per la Chiesa e un’ecologia integrale.
Il 5 ottobre , la parrocchia di Santa Maria in Transpontina, trasbordava di fedeli, con i quali, in mezzo a canti, preghiere e una simbologia tutta amazzonica, abbiamo avuto una Veglia di preghiera per chiedere al Dio di Gesù Cristo di continuare i compiti del Sinodo con tutto il processo di ascolto iniziato nella fase preparatoria. Indubbiamente, sembra che Roma non sia ancora pronta a contemplare e a lasciarsi evangelizzare con altre forme di espressione, di pietà popolare, altre forme di pregare. Alcuni mass media hanno reagito erroneamente affermando che i “riti pagani” si sono impossessati di una parrocchia vicino al Vaticano. Sfortunatamente, questi tipi di percezioni danneggiano la fraternità e la diversità che abbiamo come Chiesa. Una diversità nell’unità; principio trinitario che non possiamo mettere da parte in un momento così importante che la Chiesa vive. Sembra che il colore nero di alcuni a Roma, abbia iniziato a rendersi conto che non è l’unico colore nel mezzo a una giungla di cemento e pavimento. La verità è che si sono incontrate due selve, la selva di cemento e la selva piena di colori e vita che ha navigato fino a raggiungere questa città.
Il 6 ottobre , nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco ha aperto il Sinodo con queste parole: “Quando senza amore e senza rispetto si divorano popoli e culture, non è il fuoco di Dio, ma del mondo. Eppure quante volte il dono di Dio non è stato offerto ma imposto, quante volte c’è stata colonizzazione anziché evangelizzazione! Dio ci preservi dall’avidità dei nuovi colonialismi. Il fuoco appiccato da interessi che distruggono, come quello che recentemente ha devastato l’Amazzonia, non è quello del Vangelo. Il fuoco di Dio è calore che attira e raccoglie in unità. Si alimenta con la condivisione, non coi guadagni. Il fuoco divoratore, invece, divampa quando si vogliono portare avanti solo le proprie idee, fare il proprio gruppo, bruciare le diversità per omologare tutti e tutto” .
Quel fuoco che ha toccato il cuore di Papa Francesco, fa sì che il suo cuore di Padre si para e accolga, dia il benvenuto all’Amazzonia, con il suo popolo, i suoi rappresentanti, i suoi missionari e missionari e missionarie, i suoi Vescovi.
Il 7 ottobre, come gesto di apertura e segno di fraternità, Papa Francesco ha aperto le porte della Basilica di San Pietro sia ai Padri sinodali sia a coloro che compongono l’iniziativa “Amazzonia: Casa Comune”. È stata notata una preghiera di braccia e mani unite, tenendo al centro lo stesso apostolo San Pietro. Lì stavamo cantando e pregando, come se lo Spirito del Signore ci annunciasse che solo uniti ma diversi, fedeli e pastori, alzando le nostre voci all’unico vero Dio, siamo venuti nel cuore della Chiesa per chiedere per la Casa Comune, per chiedere che la Chiesa sia più profetica, più audace, sia nel suo compito come nell’ Annuncio del Vangelo di Gesù Cristo. Una canoa insieme a una rete e due remi, hanno accompagnato il piccolo pellegrinaggio che ha unito tutti e tutte, come un unico cuore e una unica anima.
Papa Francesco, nel suo discorso all’inizio della 1a Congregazione generale, ha lasciato chiare le quattro dimensioni per operare in questo Sinodo: la dimensione pastorale, la dimensione culturale, la dimensione sociale e la dimensione ecologica. E ha sottolineato: “ci avviciniamo ai popoli amazzonici in punta di piedi, rispettando la loro storia, le loro culture, il loro stile del buon vivere nel senso etimologico della parola, non nel senso sociale che spesso attribuiamo loro, perché i popoli hanno una propria identità, tutti i popoli hanno una loro saggezza, una consapevolezza di sé, i popoli hanno un modo di sentire, un modo di vedere la realtà, una storia, un’ermeneutica e tendono a essere protagonisti della loro storia con queste cose, con queste qualità» .
Con indignazione ha detto: «Ieri mi è dispiaciuto molto sentire qui dentro un commento beffardo su quell’uomo pio che portava le offerte con le piume in testa. Ditemi: che differenza c’è tra il portare piume in testa e il “tricorno” che usano alcuni ufficiali dei nostri dicasteri?». E ci ha detto a voce alta: “Siamo venuti per contemplare, per comprendere, per servire i popoli. E lo facciamo percorrendo un cammino sinodale, lo facciamo in sinodo, non in tavole rotonde, non in conferenze e ulteriori discussioni: lo facciamo in sinodo, perché un sinodo non è un parlamento, non è un parlatorio, non è dimostrare chi ha più potere sui media e chi ha più potere nella rete, per imporre qualsiasi idea o qualsiasi piano».
«Sinodo è camminare insieme sotto l’ispirazione e la guida dello Spirito Santo.». Insisteva guardandoci dritto: “Lo Spirito Santo è l’attore principale del sinodo. Per favore non lo scacciamo dalla sala». Ci ha chiesto riflessione, ascolto, ma soprattutto, come un buon padre che si rivolge ai suoi figli, ha detto: “parlare con coraggio, con parresìa, anche se mi vergognerò a farlo, dire quello che sento, discernere, e tutto questo qui dentro, custodendo la fraternità che deve esistere qui dentro”.
Poi ci sono state le votazioni. Per la commissione di redazione finale sono stati eletti: Mons. Mário Antonio Da Silva del Brasile; Mons. Miguel Cabrejos Vidarte del Perù; Mons. Nelson Jair Cardona Ramirez della Colombia; Mons. Sergio Alfredo Gualberti Calandrina della Bolivia. Inoltre, per la commissione d’informazione sono stati eletti: Mons. Erwin Krautler, cpps; Mons. Rafael Cob García; Mons. José Angel Divassón Cilveti; e padre Antonio Spadaro.
L’ 8 ottobre , entrambe le Congregazioni generali del giorno sono state riempite con interventi dei Padri sinodali.
I temi emersi furono: partecipazione e importanza dei laici; creare un fondo per sostenere la formazione dei laici in Amazzonia. Alzare la voce profetica davanti a situazioni di ingiustizia. Formazione e Ministeri nella Chiesa. L’interculturalità è una sfida, ma anche un modo di evangelizzare oggi. La questione dell’estrattivismo come costante minaccia predatoria.
Ci sono molte comunità che non hanno l’Eucaristia. A chi appartiene l’Eucaristia? Una norma ecclesiastica di celibato ha la priorità sul diritto all’Eucaristia. I sacramenti non devono stare solo nelle mani dei sacerdoti. Cambiare i criteri per preparare i ministri alla celebrazione dell’Eucaristia. Studiare la possibilità di ordinare uomini sposati. Diaconato Indigeno Permanente. Una chiesa con un volto amazzonico ma anche con un volto giovane.
Sono emerse anche queste altre questioni: Ministeri ufficiali delle donne. Possibilità di diaconato permanente per le donne. Ministri ordinati non clericalizzati. Nessun presbitero di seconda categoria. La possibilità di gestione di viri probatis. Annuncio senza imposizioni.
Grande enfasi è stata posta sulla Pastorale della presenza. Creare un osservatorio ecclesiale nell’area amazzonica. L’ Ecologia integrale come un kairos per la Chiesa. Sicuramente questo Sinodo provocherà una profonda spiritualità in tutta la Chiesa che promuova una conversione ecologica. Dialogo interreligioso e interculturale. Camminare come Chiesa sinodale e profetica sarà possibile se ascoltiamo le diverse voci. Che la Pastorale dell’Amazzonia debba includere un’emergenza di transizione, alla modernità e allo sviluppo. Assumere un’opzione preferenziale per la creazione.
Il 9 ottobre si è proseguito con altre due Congregazioni generali. Altre questioni sorgono come parte della dinamica di vari interventi da parte dei padri sinodali e di altri partecipanti, in particolare uditori e invitati:
Istituire un osservatorio internazionale
sui Diritti Umani con sedi nazionali. Popoli in Isolamento Volontario e in
Contatto Iniziale. La Teologia India. La Panamazzonia è una regione multietnica
e multireligiosa.
Urbanizzazione e Amazzonia. Il Sinodo deve essere creativo nel promuovere nuovi ministeri. Il Buon Vivere. Siamo troppo assenti e gli evangelici vengono a riempire il vuoto che lasciamo. Liturgia e Amazzonia. Inculturazione e interculturazione: “fino a quando la Chiesa non sarà disposta a dialogare con noi, non potrà appartenere a noi”, si ascoltava una voce di un rappresentante indigeno. Valutare e rivalutare il nostro atteggiamento di Chiesa nei confronti dei popoli originari. La periferia diventa centro e il centro diventa periferia diventando un ricco movimento che ci sfida. Preservare l’Amazzonia come imperativo latinoamericano.
Famiglia e comunità: il ruolo della donna, il suo ruolo fondamentale nella partecipazione delle culture e nella loro presenza in mezzo ai popoli. Quanto farebbe bene alla Chiesa riconoscere lo stile di evangelizzazione delle donne nella Chiesa? È tempo per la donna amazzonica indigena.
Il Consiglio Nazionale delle Chiese Cristiane del Brasile esprime la sua solidarietà al Sinodo per l’Amazzonia. Sono convinto che le popolazioni indigene possano aiutarci a capire che tutto è connesso. “Il sacerdote non è della comunità, ma della Chiesa”. Maggior accompagnamento alla Pietà Popolare in Amazzonia. Il Sinodo riflette un atto pentecostale.
Nel pomeriggio, nell’ambito delle reazioni, Papa Francesco segna cinque punti : 1. Lo stato di violenza che soffre il territorio amazzonico. 2. Le culture hanno il loro valore. Non metterle in ideologie. 3. La tendenza a clericalizzare i laici. 4. La formazione dei sacerdoti. 5. Il valore delle congregazioni religiose. Esse aprono strade.
Alla fine di questa giornata è sorta una
grande domanda: quale conversione sta causando in me questo processo sinodale?
Il 10 e l’11 ottobre , si sono svolti lavori nei cosiddetti Circoli Minori. I gruppi erano: uno in inglese e francese, due in italiano, quattro in portoghese e cinque in spagnolo. Sono stati due giorni per rivedere e condividere i contenuti dell’Instrumentum laboris . Un lavoro a cui partecipano: padri sinodali, esperti, uditori e due assistenti per gruppo.
È naturale che ogni Circolo Minore abbia le sue dinamiche e il suo processo di riflessione. Un tempo per il dialogo e l’ascolto. Alcuni giorni di lavoro per discernimento e riflessione fraterna. Ogni Circolo Minore ha eletto il proprio moderatore e il proprio relatore.
Il 12 ottobre, festa della Madonna dell’Aparecida, gli interventi sono proseguiti.
Queste sono alcune espressioni che
alimentano i contenuti menzionati nei giorni precedenti:
“Una chiesa samaritana ferita e misericordiosa che difenda la dignità delle persone. Una Chiesa Maddalena, se pur peccaminosa, ma santa. Una Chiesa Mariana perché è una madre che si prende cura e fertilizza. Una Chiesa che vive la Pentecoste. Creativo nei ministeri. Una chiesa martire che è dispostaa dare la vita e la testimonianza. La ricchezza della diversità tocca e nutre la vita dei nostri popoli. Una Chiesa educatrice dei nostri popoli, che valorizza i semi del verbo ” .
“La nostra testimonianza di fede è credibile? Le vocazioni sono scarse, perché manca il fervore religioso. Dove c’è vita nascono vocazioni genuine. Vorrei che fossimo in grado di rispondere a questo. “
“Che il tema del diaconato nelle donne sia oggetto di un prossimo Sinodo.”
“Come stiamo compiendo la Missione che ci è stata affidata? La Parola di Dio e il suo amore sono la prima ricchezza che possiamo dare. Realizziamo la missione e moltissima, moltissima parresia. “
“La cosmovisione amazzonica ha molto da insegnare alla Chiesa. L’annuncio di Cristo è fondamentale per alimentare la cosmovisione dei popoli. Perché non siamo in grado di risvegliare le vocazioni? Nel campo dell’ecologia è importante per cambiare i nostri stili di vita di fronte al pianeta ”.
“Sulla formazione dei futuri sacerdoti: propongo di creare la vommissione Panamazzonica della formazione”.
“Dobbiamo rafforzare la ministerialità in Amazzonia. Non perdere di vista alcune questioni sorte nel processo di ascolto. Una formazione sacerdotale con elementi di interculturalità ”.
“La Chiesa in Amazzonia è portatrice di riconciliazione”.
“La nostra opzione pastorale per il cosmo non è opzionale, è obbligatoria.”
“Veniamo tutti da diverse culture familiari e siamo affascinati da Cristo quando ne abbiamo sentito parlare … Se abbandoniamo la proposta di Cristo, stiamo tradendo il suo messaggio. Dobbiamo facilitare un incontro del Cuore di Cristo con il cuore di ogni indigeno ”.
“Quando proviamo a dialogare con altre chiese, scopriamo che ci sono più cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci differenziano. Dobbiamo cambiare coraggiosamente, perché la società richiede testimonianza e dialogo “.
“Possa questo Sinodo prendere un’opzione sincera in difesa della vita, della terra e delle culture. Santo Padre, i Popoli Indigeni aspettano un’ultima parola in difesa delle loro terre e delle loro vite. Con la certezza che la Chiesa è e continuerà in queste terre ”.
Santa Laura dice: “Non hanno tabernacolo ma hanno natura”.
“I popoli indigeni sono sempre stati e saranno i guardiani delle foreste”.
“È giunto il momento che la vocazione della donna sia pienamente soddisfatta”, ha affermato Papa Paolo VI. Dopo 54 anni da queste parole, continuiamo a proclamarlo. “
“Vorrei invitare ad una riflessione più approfondita sulla mancanza di sacerdoti o sulla proposta di ordinazione dei viri provati. Siamo qui al momento giusto per sollevare questo problema?
“Possa la fede nello Spirito essere più forte della paura dell’errore”.
“Accettare la verità che il Vangelo non è patrimonio esclusivo di una cultura”.
“Grazie Papa Francesco per aver aperto le porte della tua casa e del tuo cuore. Oggi noi piumati siamo a casa tua e nel cuore tuo perché siamo i tuoi fratelli e siamo anche i tuoi figli ”.
“Stiamo vivendo un Kairos. Dio si va facendo presente con più forza. Non c’è altro modo. Qual è la vera novità di tutto questo processo amazzonico? Un popolo che diventa protagonista ”.
In view of the Synod for the Amazon, an articulation process has begun that brings together several Church institutions and organizations with the aim of generating a space for dialogue and listening, that walks alongside the Synod Fathers this October 2019 in Rome.
As we remember what the experience of the Martyrs Tent in Aparecida was – in Brazil in 2007, we all seek to enrich this space of interaction and communication between persons, with the spirit of the Amazon. It is not just presenting various activities, it is rather an exercise in communication and intercultural dialogue, an interaction with the new, the diverse, the still unknown.
Amazon: Common House, is an effort to make present the life of the Amazon and who inhabits it. In the Amazon, maloca is the place where indigenous communities sit to simply be, listen, celebrate and be able to discern what happens in the life of the community.
Amazon: Common House in Rome, has that spirit, it is like the «Great Maloca» to which we are all invited. Therefore, we are guests in this space. Our indigenous brothers and other representatives of the territory and the ecclesial presence in that territory are the actors and protagonists of this space. They invite us to talk. We facilitate this meeting, whether among the indigenous leaders of various regions, between them and those who come from abroad. May it be their voice that helps the Synod Fathers to discern the new paths that the Church needs to find in order to respond to that cry of the poor and of the Common House.
It is important that we understand that Amazon: Common House, is not a forum, nor space for everyone to simply «show» what they know how to do. Everyone, in an attitude of listening, makes it easy for the voice of the Amazonian peoples to resonate: in us, in organizations, in the Church and in the world. It is not that each star shines, it is rather that together we shine like stars and give the best light to beautify the night, a night that wants to become darkness. The Amazon is screaming and inside her, her sons and daughters scream. We cannot be indifferent.
Amazon: Common House is an ecclesial space from which we will discuss matters that our Amazon brothers consider a priority. A space where reflection, discussion, dialogue, conversations, but above all, listening, develop. A space where its clamour, and not our interests, prevail.
In this spirit, we are invited to participate in a great tent, a great maloca, a great opportunity. Let us work to make this space a place of intercultural dialogue and meeting in the heart of the Catholic Church, together with Pope Francis, «our grandfather», «our sage», as the indigenous peoples call him. We need to meet each Amazonian and look at each other face to face. Together we travel these new paths with respect, tolerance, exchange, acceptance, openness, reciprocity, dialogue and listening.
La Chiesa «con volto indigeno» ha sulla scrivania una speciale proposta per aprire tanto il dialogo come il discernimento a Roma
Ci si chiede che cosa porterà il prossimo Sinodo sull’Amazzonia, che si svolgerà a Roma del 6 al 27 ottobre. Ci sono diverse reazioni, con una certa preoccupazione da parte della cosiddetta «ala tradizionalista» della Chiesa in Germania. A che punto siamo? è la domanda che si pongono diversi vescovi, preti e laici.
Al centro dovrebbe esserci la problematica ecologica che l’encicilica «Laudato Si» presenta: «inquinamento, rifiuti e cultura dello scarto, del clima, della questione dell’aqua, perdita della biodiversità, deterioramento della qualità della vita umana e degrado sociale, inequità planetaria, eccetera», che avrà un grandissimo impatto sociale e culturale proprio in tutta la regione panamazzonica. Ultimamente però i media europei hanno dato spazio alla preocupazione sulla possibilità della ordinazione tanto delle donne diacono, come degli uomini sposati, puntando il mirino dell’informazione su qualsiasi intervento di qualche vescovo tedesco, sapendo che l’opinione pubblica è divisa sul tema.
Ma, in realtà quali sono i temi che preocupano la Chiesa in questa parte del mondo? La cosiddetta Chiesa «con volto indigeno» ha sulla scrivania una speciale proposta per aprire tanto il dialogo come il discernimento a Roma. È importante ricordare i contenuti del Documento Preparatorio (dell’08 giugno 2018) intitolato: «Amazzonia: Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia Integrale».
Ascoltare i popoli indigeni
Vediamo, tra i punti principali, quelli che interessano l’intera regione panamazzonica. Innanzitutto, ascoltare i popoli indigeni e tutte le comunità che vivono in Amazzonia (rappresentano quasi 390 popoli e nazionalità differenti; una presenza di circa tre milioni di indigeni; esistono nel territorio fra i 110 e i 130 Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (PIAV) o «popoli liberi»), come primi interlocutori di questo Sinodo.
La loro situazione sociale è segnata dall’esclusione e dalla povertà (DAp 89), ma ci sono organizzazioni indigene che cercano di approfondire la storia dei loro popoli, per orientarne la lotta per l’autonomia e l’autodeterminazione: «È giusto riconoscere che esistono iniziative di speranza che sorgono dalle vostre stesse realtà locali e dalle vostre organizzazioni e cercano di fare in modo che gli stessi popoli originari e le comunità siano i custodi delle foreste, e che le risorse prodotte dalla loro conservazione ritornino a beneficio delle vostre famiglie, a miglioramento delle vostre condizioni di vita, della salute e dell’istruzione delle vostre comunità» (Fr.PM).
I nuovi colonialismi
Un altro punto importante riguarda il fatto che si impongono nuovi colonialismi ideologici mascherati dal mito del progresso, che distruggono le identità culturali proprie e il «buon vivere» parte fondamentale della loro spiritualità e saggezza. Ci ricorda Papa Francesco, che nell’opera di evangelizzazione non si può «mutilare l’integralità del messaggio del Vangelo» (EG 39). Quindi, si «esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale» (EG 165), e, soprattutto, gli domanda di assumere e assimilare la convinzione che «tutto è collegato». Questo implica ascoltare oggi il grido che l’Amazzonia eleva al Creatore, questo grido è simile al grido del Popolo di Dio in Egitto (cf. Es 3,7). È un grido di schiavitù e di abbandono, che domanda la libertà e l’attenzione di Dio. Un ascolto che ha nell’ecologia integrale una chiave per camminare insieme come Popolo di Dio.
La presenza della Chiesa
Pertanto, l’Assemblea Speciale per la Regione Panamazzonica ha bisogno di un grande esercizio di ascolto reciproco, specialmente di un ascolto tra il popolo fedele e le autorità magisteriali della Chiesa. Una delle cose principali da ascoltare è il gemito «di migliaia di comunità private dell’Eucaristia domenicale per lunghi periodi» (Documento Aparecida 100, e). Questa Chiesa dal volto amazzonico sa che «essere Chiesa è essere Popolo di Dio», incarnato «nei popoli della terra» e nelle loro culture (EG 115).
La Chiesa è chiamata ad approfondire la sua identità mettendosi in relazione con le realtà dei territori in cui vive e ad accrescere la propria spiritualità con un esercizio continuo di discernimento. In questo tema, la Repam (Rete Ecclesiale Panamazzonica) ha giocato un ruolo fondamentale nell’elaborazione di proposte e nuove linee d’azione.
La Chiesa dell’Amazzonia ha preso coscienza che, a causa delle immense distese territoriali, della grande varietà dei popoli e dei rapidi cambiamenti degli scenari socio-economici, la sua pastorale non riusciva a garantire che una presenza precaria. Una missione incarnata esige di ripensare la scarsa presenza della Chiesa in rapporto all’immensità del territorio e alla sua varietà culturale.
La Chiesa dal volto amazzonico deve «ricercare un modello di sviluppo alternativo, integrale e solidale, fondato su un’etica attenta alla responsabilità per un’autentica ecologia naturale e umana, che sia radicata nel Vangelo della giustizia, nella solidarietà e nella destinazione universale dei beni; che superi la logica utilitarista ed individualista, che rifiuta di sottoporre ai criteri etici i poteri economici e tecnologici» (DAp 474, c).
La questione delle donne
Un’altra priorità è quella di proporre nuovi ministeri e servizi per i diversi agenti pastorali, che rispondano ai compiti e alle responsabilità della comunità. In questa linea, occorre individuare quale tipo di ministero ufficiale possa essere conferito alla donna, tenendo conto del ruolo centrale che le donne rivestono oggi nella Chiesa amazzonica. È altresì necessario sostenere il clero indigeno e nativo del territorio, valorizzandone l’identità culturale e i valori propri. Infine, bisogna progettare nuovi cammini affinché il Popolo di Dio possa avere un accesso migliore e frequente all’Eucaristia, centro della vita cristiana (cf. DAp 251).
Logo del Sinodo Panamazzonico 2019
Una spiritualità interculturale
La Chiesa e tutto il Popolo di Dio, con i suoi vescovi e sacerdoti, religiosi e religiose, missionari e missionarie, religiosi e laici, è chiamata a entrare con cuore aperto in questo nuovo cammino ecclesiale. Siamo chiamati come Chiesa a rafforzare il protagonismo dei popoli: abbiamo bisogno di una spiritualità interculturale che ci aiuti a interagire con le diversità dei popoli e con le loro tradizioni. Dobbiamo aggregare le forze per prenderci insieme cura della nostra Casa Comune.
Dunque, dopo avere letto questa realtà, ci aspettiamo il documento finale. Secondo mons. Fabene avremo «a breve la stesura dell’Instrumentum Laboris» del prossimo Sinodo del 2019.
La partecipazione è una chiave fondamentale per capire di che cosa tratta il Sinodo in Amazzonia. È un camminare insieme, ma ascoltandoci
Con la pubblicazione dell’Enciclica Laudato Si’ nel 2015, la Chiesa ha sfidato tutti coloro che hanno a cuore la cura della Casa Comune. Con questa enciclica, infatti, Papa Francesco si è rivolto, per cominciare un percorso insieme alla ricerca di nuove strade, non solo alla Chiesa, ma a tutti: Stati, governanti, organizzazioni sociali… E anche a tutta la popolazione che abita la Panamazzonia.
Era domenica 15 ottobre 2017, quando Papa Francesco ha detto: «Accogliendo il desiderio di alcune Conferenze Episcopali dell’America Latina, nonché la voce di diversi Pastori e fedeli di altre parti del mondo, ho deciso di convocare un’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica, che avrà luogo a Roma nel mese di ottobre 2019. Scopo principale di questa convocazione è individuare nuove strade per l’evangelizzazione di quella porzione del Popolo di Dio, specialmente degli indigeni, spesso dimenticati e senza la prospettiva di un avvenire sereno, anche a causa della crisi della foresta Amazzonica, polmone di capitale importanza per il nostro pianeta».
MA, COS’È UN SINODO?
Sinodo significa camminare insieme. In questo caso si tratta di ascoltare i popoli indigeni e tutte le comunità che vivono in Amazzonia. Allora saranno loro che diventeranno protagonisti.
Nel viaggio apostolico in Perù, il 19 gennaio 2018, nel Coliseo Madre de Dios a Puerto Maldonado, Papa Francesco ha incontrato i popoli dell’Amazzonia e ha sottolineato che: «la Chiesa non è aliena dalla vostra problematica e dalla vostra vita, non vuole essere estranea al vostro modo di vivere e di organizzarvi. Abbiamo bisogno che i popoli originari plasmino culturalmente le Chiese locali amazzoniche».
L’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per la regione Panamazzonica,»Amazzonia: nuovi cammini per la chiesa e per una ecologia integrale», avrà luogo a Roma dal 6 al 27 di ottobre 2019.
LA FASE PREPARATORIA
La Chiesa sta ripensando la sua presenza nell’Amazzonia. La fase preparatoria è svolta attraverso le Assemblee territoriali, che hanno avuto un ruolo importantissimo, anche in vista della stesura del documento finale. Le Assemblee, infatti, sono uno spazio non soltanto di consultazione, ma anche di partecipazione. Uno spazio di dialogo, di costruzione collettiva. Uno spazio che ha la finalità ascoltare quante più voci possibili, ma con un obiettivo orientato all’aspetto propriamente ecclesiale, integrando però l’ambiente, il sociale, la cultura, l’economia e la politica, coerentemente con l’approccio dell’ecologia integrale.
LA PARTECIPAZIONE DEI POPOLI INDIGENI
Uno degli aspetti importanti di questo sinodo è la participazione dei popoli indigeni. Mauricio López, segretario esecutivo della Rete Ecclesiale Panamazzonica (Repam), sottolinea che nel processo di preparazione, «la realtà ci ha superato a causa della grande speranza che il Sinodo ha generato, a causa della grande urgenza che questo Sinodo sia di tutti. Stiamo parlando di 260 momenti di ascolto in tutto il territorio panamazzonico. Circa 60 assemblee, che hanno coinvolto grandi gruppi – da 60 a 200 persone – popolazioni indigene, organizzazioni locali, popoli contadini e membri della Chiesa, a volte riunendi due o tre giurisdizioni ecclesiastiche e discutendo di tutto ciò che riguardava il Sinodo. Abbiamo avuto 25 forum tematici, cioè riflessioni specializzate, focalizzate, con una visione pan-amazzonica, che è la grande intuizione che muove la Repam: guardare il territorio come luogo teologico, come luogo sociologico. Forum come: Vita Consacrata in Amazzonia, Diritti Umani, Popoli Indigeni, Popoli nell’isolamento volontario, Università in Amazzonia. E infine, circa 180 dibattiti». Insomma, «stiamo parlando in totale di 87 mila persone, più o meno, che hanno partecipato», ha detto López.
Da parte sua, l’ultima settimana di febraio, il cardinale brasiliano Claudio Hummes ha evidenziato l’importanza di questo Sinodo: «Nella Chiesa dobbiamo camminare uniti, come amici e fratelli, rispettando le nostre diversità. Valorizzare tutte le culture – non solo quella occidentale, ma anche quelle degli indigeni dell’Amazzonia – non è una minaccia all’unità della Chiesa, ma la arricchisce, perché una sola cultura non può esaurire e rappresentare la ricchezza del Vangelo», ha detto il presidente della Repam. Parole che ci danno l’idea che la direzione della Chiesa dal volto Amazzonico vuole camminare.
Richard Rubio Condo – presidente della federazione FECONAMNCUA – río Napo – Peru dal 2010 al 2016
Intervista al Cardinal Hummes, in occasione del seminario “Nuovi cammini per una Chiesa dal volto amazzonico», organizzato dalla Salesiana.
Il primo giorno, giovedì 7 marzo, l’intervento del Card. Cláudio Hummes, francescano, presidente della Repam, ha sottolineato che l’obiettivo del Sinodo è l’ascolto del grido della Chiesa Amazzonica. Il cardinal Hummes ha messo in risalto che «noi dobbiamo andare lì ed ascoltare, lasciarli parlare. Sono loro (i popoli indígeni) chi devono dirci quali sono i loro sogni e desideri, come sono anche le loro grandi sofferenze, qual’è la loro storia che viene massacrata e qual’è la storia di questa regione grande chiamata Panamazzonia».
Il presidente della Repam ha spiegato l’importanza che la Chiesa non lasci perdere l’Amazzonia: «la Chiesa deve avere il coraggio di trovare nuovi cammini, deve avere il coraggio di assumere un volto amazzonico, deve avere il coraggio di formare un clero autoctono, un clero indigeno, che possa afarsi carico di queste comunità».
Alla fine, il Cardinal Hummes ha fatto appello a tutte le Università Salesiane: «Penso che sia necessario che i salesiani e le loro Università si aprano un poco di più verso l’esterno, che non siano solo un circolo chiuso ed astratto, che prende cura delle cose scentifiche ed si occupa d’un livello alto, mentre la realtà si trova lì sotto. I salesiani sono missionari per natura, devono avere un’apertura disinteressata, non solo per studiare su base scientifica, filosofica oppure teologica – che pure sono importanti – ma anche per partecipare e fare participare gli studenti ancora più vivamente. Non basta, come si fa a scuola, prendere note o scrivere alcune tesi: occorre veramente fare quel proceso di andare, ascoltare, convivere un po’».
Oggi l’«opzione convinta per la difesa della vita, per la difesa della terra e per la difesa delle culture» passa anche attraverso il Sinodo per l’Amazzonia
Mentre Bergoglio diceva loro che «la Chiesa non vuole essere estranea al vostro modo di vivere», l’Italia e il resto del mondo hanno già dimenticato quell’incontro eccezionale. Il Papa latinaomericano ha sottolineato che è «imprescindibile compiere sforzi per dar vita a spazi istituzionali di rispetto, riconoscimento e dialogo con i popoli nativi; assumendo e riscattando cultura, lingua, tradizioni, diritti e spiritualità che sono loro propri». Ma cosa significa? Che tipo di messaggi stano arrivando alla Chiesa qui, in questa parte del pianeta? Chi sono i cosidetti popoli indigeni dell’Amazzonia?
Una volta, una giornalista dell’Ecuador, Milagros Aguirre, ha fatto un’intervista a un vecchio missionario nell’Amazzonia. Ricordando la sua prima esperenza tra i popoli indigeni e meticci nell’Amazzonia peruviana, lui ha raccontato: «…Il meticcio si crede superiore all’indigeno, lo disprezza e gli sottrae valore, crede di avere il diritto di «civilizare» l’indio, d’imporre la sua maniera di vedere il mondo riguardo il progresso o lo sviluppo. Non concepisco quell’affano omogeneizzante di un Occidente che vuole tutti protetti dalle sue leggi, norme o religioni e che si impone sui più piccoli, sui deboli, sui differenti, sulle minoranze; è come se l’Occidente si credesse un Dio, capace di modellare a sua immagine e somiglianza tutti gli esseri umani. Semplicemente, ormai non capisco il mondo occidentale». Erano le parole di Marcos Mercier, un francescano canadese che ha abitato con il popolo kichwa del Napo più o meno 35 anni della sua vita, fino alla morte.
Padre Mercier ha anche ricordato alla giornalista l’immagine delle «prime tribù amazzoniche, che venuti in contatto con i conquistatori spagnoli, dopo avere resistito alle invasioni nel 1538 e 1541, vennero «pacificati», divisi in varie commende e ridotti in schiavitù». Ma dopo cinque secoli un Papa ha detto loro: «Sono voluto venire a visitarvi e ascoltarvi, per stare insieme nel cuore della Chiesa, unirci alle vostre sfide e con voi riaffermare un’opzione sincera per la difesa della vita, per la difesa della terra e per la difesa delle culture». Immaginate che festa! C’erano lì circa 4mila rappresentanti delle tribù indigene amazzoniche, che ascoltavano queste parole di speranza.
Oggi l’«opzione convinta per la difesa della vita, per la difesa della terra e per la difesa delle culture» passa anche attraverso il Sinodo per l’Amazzonia che Papa Francesco ha convocato per quest’anno 2019. Un Sinodo speciale che vuole ascoltare, che rappresenta una sfida per tutta la Chiesa, non soltanto per i contenuti di cui discuteranno i vescovi insieme a Papa Francesco, ma per tutte le proposte che porteranno con sé ognuno di quelli che saranno qui a Roma, tra pochi mesi.
Ridurre le emissioni è un processo lento; nell’Accordo di Parigi i paesi hanno concordato di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi; eppure ci sono accordi per bloccare il documento finale della Cop 24 in corso in Polonia.
di Roberto Carrasco, OMI
La domenica 2 dicembre è iniziato il Cop 24, il vertice delle Nazioni Unite, durante il quale si terranno due settimane cruciali per affrontare collettivamente e urgentemente il problema del riscaldamento globale.
Le temperature continuano a salire, le azioni decisive richieste sono in ritardo e le opportunità sono finite. Sono migliaia di leader mondiali, esperti e attivisti che a Katowice, in Polonia, elaboranno un piano per rispettare gli impegni concordati a Parigi nel 2015. Ancora la domanda rimane, l’accordo di Parigi sarà adottato?
«L’Onu nel 1992 ha organizzato a Rio de Janeiro – Brasile un vértice chiamato: “Summit della Terra”, in cui fu adottata la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici. In quel trattato, i paesi hanno concordato di «stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera» per impedire che l’attività umana interferisca con il clima»,si legge dal sito di News dell’Onu.
Questa Convenzione è stata firmata da 197 paesi. Ogni anno, da quando la convenzione è entrata in vigore, si tiene una «Conferenza delle parti»(COP – Conference of the Parties) per discutere su come andare avanti. Finora ci sono stati 23 Cop e quest’anno è la Cop 24. Questa Convenzione quadro non prevedeva la limitazione delle emissioni di gas a effetto serra e non ha istituito un meccanismo per applicarla.
Possiamo ricordare che il «Protocollo di Kyoto» ha definito i limiti delle emissioni che i paesi sviluppati dovevano conseguire nel 2012. Ma nell’Accordo di Parigi, che è stato adottato nel 2015, tutti i paesi del mondo hanno concordato di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali e migliorare i finanziamenti per raggiungerlo.
Ma conferenze e vertici raggiungo dei risultati?
Il progresso è molto lento, di più di quello che la situazione consente. Un processo così tanto difficile quanto ambizioso, che è riuscito a unire paesi che hanno circostanze molto diverse. Ci sono dei risultati, pero ancora è un vero impegno capire che agire contro i cambiamenti climatici ha un impatto reale e positivo e che può aiutarci ad evitare le peggiori conseguenze.
Al di là dei risultati più eccezionali, come questi 57 paesi che sono riusciti a ridurre le loro emissioni di gas serra ai livelli richiesti per controllare il riscaldamento globale; oppure ricordiamo che nel 2015, 18 paesi ricchi si sono impegnati a donare 100.000 milioni di dollari all’anno affinché i paesi in via di sviluppo possano agire nella lotta contro il cambiamento climatico. Le iniziative sono ancora apprezzati, ma si aspetta un vero compromiso da 184 stati parti con l’accordo di Parigi che è stata ratificata ed entrata in vigore a novembre 2016. Si trata, sopratutto, di limitare l’aumento globale delle temperature inferiori a 2 °C e cercare di fare in modo che l’aumento non superi 1,5 ° C. Come di creare piani climatici nazionali entro il 2020, compresi gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Solo Costa Rica e Perù sono riusciti a farlo. Non ancora l’Europa né altri paese che hanno una grande industria , con le frabbriche principali responsabili dell’innalzamento.
Uno dei paesi, Gli Stati Uniti, chi a luglio 2017 ha annunciato retirarsi di quest’accordo, sta aspetando almeno fino al noviembre 2020 per fare legalmente il ritiro dal patto.
Gli esperti, che cosa pensano dell’importanza del limite di 1.5 °C?
Uno studio del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici, raccomendano di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali. Questo ci aiuterà a prevenire danni devastanti al pianeta e ai suoi abitanti, inclusa la perdita irreversibile di habitat di animali nell’Artico come nell’Antartico, per esempio.
«L’Onu stima che, se aumentassimo la temperatura a 1,5 °C anziché a 2 °C, sono 420 milioni di persone che soffrirebbero in meno gli effetti di questo fenomeno»,si legge dal sito di News dell’Onu.
Perché il COP 24 è così importante?
Questo anno 2018 i firmatari dell’Accordo di Parigi hanno deciso di creare un programma di lavoro con cui raggiungere gli impegni. Lo essenziale è che i paesi si fidano l’uno dell’altro per riuscire insieme nel proposito.
Gli esperti presenti a Katowice vedonno questo incontro come una grande oportunità per intensificare l’azione climatica a tutti i livelli della società.
Con Bolsonaro si interrompe il percorso di costruzione della democrazia. C’è preoccupazione per le minoranze e per l’Amazzonia. Ne abbiamo parlato con il decano della Facoltà di Teologia dell’UPS, Don Medeiros.
Il Brasile è un paese dell’America del Sud che ha più di 209 milioni di abitanti. Domenica 28 ottobre, un po’ di più di 104 milioni si sono recati alle urne per scegliere tra Fernando Haddad, socialista, e l’altro candidato, Jair Messias Bolsonaro, che rappresenta l’estrema destra.
La mappa politica del Brasile è cambiata radicalmente dopo 13 anni, con Lula Da Silva chiuso in carcere, considerato risponsabile del disastro economico e sociale che il Brasile ha avuto in quest’ultimi anni. Del caso Lava Jato, frutto di tutto un sistema di corruzione incarnato suprattutto dal PT (Partido dos Trabalhadores), ne ha approfittato l’estrema destra, che ha vinto in 16 dei 27 stati che formano la nazione brasiliana.
Ci sono dei motivi per cui Bolsonaro ha vinto il 28 ottobre. Si è presentato come un candidato outsider, ma il fatto di essere un ex militare, sostenuto dal generale Antonio Hamilton Mourão, eletto vicepresidente, fa ricordare alla popolazione i 21 anni di dittatura vissuta dal Brasile, la più lunga dell’America Latina, anche rispetto a quella di Pinochet in Cile.
Un altro fattore che ha avuto una grande influenza è quello della chiesa evangelica che ha una presenza forte nelle favele e nei quartieri popolari delle città. La Rete Record, proprietà del fondatore della Chiesa Universale del Regno di Dio, è la seconda televisione più grande del Brasile e la quinta del mondo e ha giocato un ruolo importante in questa elezione.
In questo contesto elettorale, abbiamo intervistato il decano della Facoltà di Teologia dell’UPS, Don Damiano Raimundo MEDEIROS. Un missionario salesiano brasiliano che ha avuto la esperienza di lavorare in missione proprio sul confine tra Brasile e la Colombia.
Che cosa rappresenta Bolsonaro per il Brasile, oggi?
«Anzitutto è il nuovo presidente della Repubblica del Brasile eletto con più di 50% del voto degli elettori. Quindi è il presidente, è l’uomo che guiderà il Brasile per i prossimi quattro anni. È il primo militare che arriva al governo dopo, diciamo cosi, un periodo in cui tutti i governi erano civili e dopo il periodo della dittatura militare. In questo senso c’è uno scenario: la sua campagna alla presidenza è stata profondamente sottolineata con una tonalità di destra che fa pensare a dei passi indietro rispetto alla costruzione della democrazia in Brasile, che si è cercato di fare in tutti questi anni. Purtroppo non abbiamo avuto da parte di nessun candidato un programma globale di governo. Non sappiamo quale saranno gli scenari dal punto di vista oggettivo. Dal punto di vista di ciò che lui rappresenta ci sono, senza dubbio, delle preoccupazioni, soprattutto riguardo alle regioni strategiche del Brasile, come l’Amazzonia».
Possiamo dire che il voto di domenica scorsa è stato un voto antisistema?
«Io credo che si può utilizzare questa espressione, ma tenendo presente che, essendo un governo di destra, rappresenta anche un certo allineamento con la tendenza neoliberale in America Latina. Certamente c’è la preoccupazione che sia più disponibile a promuovere un tipo di politica neoliberale, soprattutto per quei gruppi internazionali e multinazionali che vogliono continuare a esplorare il continente Sudamericano».
Parlando di ecologia, gli esperti avevano segnalato, già prima delle elezioni, che ci sono dei rischi per il futuro dell’Amazzonia. La Rete Eclesiale Pan Amazzonica condivide quest’allerta.
«L’Amazzonia non è soltanto un universo ecologico ambientale: è un universo culturale e interculturale e con tantissime risorse a livello delle ricchezze minerarie. In questo senso la Chiesa brasiliana è molto preoccupata della campagna politica elettorale, non possiamo parlare ancora degli atti politici, perché ancora non lì conosciamo; ma preoccupa ciò che ha detto il presidente Bolsonaro durante il periodo di preparazione delle elezioni, a riguardo dell’Amazzonia. Ad esempio, si è pronunciato, più di una volta, contro il mantenimento delle riserve indigene. E questa è una questione molto delicata, visto che nell’Amazzonia ci sono tantissime popolazioni e culture indigene in cui non sarebbe ipotizzabile pensare che un giorno, per motivo d’una decisione politica, non potranno più esistere. Inoltre l’Amazzonia è una risorsa culturale e interculturale. Ad esempio, l’educazione in tantissime aree dell’Amazzonia è bilingue. Un governo che non riconosca questa sovranità culturale, farà piazza pulita nel senso che incentiverà delle politiche proprio per togliere questa realtà che è stata frutto anche delle conquiste, non soltanto della Chiesa, ma di tanti organismi che promuovono la preservazione e lo sviluppo delle culture indigene di quella regione. Ma certamente l’aspetto che desta più preoccupazioni sono le risorse minerarie di cui la regione è ricca. Ci sono questi grandi gruppi internazionali che, in questi ultimi 60 anni, hanno cercato di entrare in qualche regione, soprattutto del Sud, e hanno prodotto un disastro ecologico, sempre a detrimento della popolazione indigena, ma non solo, della popolazione cabobla, come diciamo noi, degli uomini che vivono e sopravvivono in quella regione».
Cosa pensa la gente delle città di questa situazione?
«Da una parte, i grandi progetti del governo in questi anni, ad esempio al riguardo le idroelettriche, sono progetti falliti. Progetti che non hanno prodotto ciò che è stato detto e promesso. Dall’altra parte c’è un paradosso: ad esempio, la regione dell’Amazzonia, in qualche modo, ha votato Bolsonaro, cercando magari di avere dei favori che soltanto l’universo popolare può immaginare. La Chiesa dell’Amazzonia – rappresentata dall’Episcopato brasiliano, ma soprattutto dal Consiglio Indigenista Missionario, il CIMI – come anche l’organizzazione indigena, la Confederazione delle Organizzazione del Bacino Amazzonico e tante altre organizzazioni, si sono manifestate molto contrarie alla politica che accennava il presidente durante la campagna politica per quella regione. Credo che la posizione della Chiesa (Cattolica) sarà di continuare ad essere sentinella per tutto ciò che potrà capitare in quella regione. Siamo qui preparando questo Sinodo speciale per l’Amazzonia, certamente la Chiesa continuarà ad essere sveglia, ma allo stesso tempo aperta al dialogo in vista della difesa non soltanto delle risorse, ma insisto, della difesa dell’uomo e della donna che vivono in quella regione.