Un comunicatore sociale cattolico ha la responsabilità di dire alla gente la verità. Il tema fondamentale del Sinodo non era l’ordinazione degli uomini sposati. È un peccato che alcuni media che si definiscono cattolici trattino questo problema con molta morbosità, diventando parte di alcuni settori conservatori che sfruttano questo tipo di disinformazione per i propri interessi.
Papa Francesco nell’ultima Esortazione Apostolica esprime il carattere speciale che nutre per l’Amazzonia, perché per lui l’Amazzonia è un essere vivente che oggi soffre e urla di dolore e ci interroga perché ci fa vedere come stiamo trattando la natura.
Caminando hacia una Iglesia con rostro indígena
Un sogno condiviso
«QUERIDA AMAZONÍA» è un sogno diventato realtà. Un sogno di molti missionari che aspettavano il giorno in cui questo problema diventasse motivo di grave preoccupazione per la Chiesa.
Francesco condivide questo sogno perché ha messo i suoi occhi e il suo cuore in un posto molte volte dimenticato nel mondo e da lì invita tutti noi ad affrontare la sfida davanti a questa realtà. Francesco ama l’Amazzonia e lo esprime al punto che inizia la sua esortazione con poche parole molto affettuose: Cara Amazzonia. Questa è la cosa più bella che la Chiesa sia stata in grado di esprimere verso i popoli originali di una regione del mondo.
Ma questa Esortazione Apostolica è un documento non solo per i popoli o la chiesa dell’Amazzonia. È indirizzato a tutte le persone di buona volontà. È il risultato di un processo, di un intero processo di ascolto. Processo che ha significato un momento di grazia nel Sinodo. Questa Esortazione è integrata dai contributi sinodali che sono stati espressi, discussi, chiariti e analizzati nel Documento finale del Sinodo. Dobbiamo ricordare che il Documento finale del Sinodo è una cosa e l’Esortazione Apostolica è un’altra, e ciò di cui siamo più felici è che l’Amazzonia entra come un soggetto che ha un forte carattere ecclesiale.
Il Santo Padre Francesco ha potuto presentare a tutta la Chiesa un’esortazione pensando non solo all’America Latina, ma a ogni realtà ecclesiale che richiede conversione. Ci sono alcuni settori della chiesa che dovrebbero aprirsi per comprendere questa realtà, perché finché non lo faranno, non saranno in grado di comprendere né Papa Francesco, né l’enciclica Laudato Si ‘, né il suo Magistero.
L’idea è che ci lasciamo sollecitare da questo sogno di Francisco. «QUERIDA AMAZONÍA» è un sogno condiviso. Il punto 7 dell’Esortazione è un vero e proprio riassunto:
Sogno un’Amazzonia che combatte per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce viene ascoltata e la loro dignità viene promossa. Sogno un’Amazzonia che preservi quella ricchezza culturale che la mette in luce, dove brilla in modi così diversi la bellezza umana. Sogno un’Amazzonia che custodisce gelosamente la travolgente bellezza naturale che la adorna, la vita straripante che riempie i suoi fiumi e giungle. Sogno comunità cristiane capaci di arrendersi e incarnarsi nell’Amazzonia, fino al punto di regalare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici .
I viri probati
Nel quarto capitolo del Documento finale del Sinodo questo tema appare come un contributo dei padri sinodali. È uno dei tanti argomenti che sono stati toccati, ma non il più importante. Con questa Esortazione Apostolica, Papa Francesco sembra conciliare due settori della chiesa, l’America Latina e il settore ultra-conservatore, in generale nel nord Europa e negli Stati Uniti. È falso che il Sinodo intendesse ridurre la questione dei viri probati come se fosse la questione cruciale di questo sinodo speciale. Sappiamo che il tema principale del Sinodo erano i «nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale». Leggiamo il numero 91 del Documento finale: Con audacia evangelica, vogliamo implementare nuovi percorsi per la vita della Chiesa e il suo servizio per un’ecologia integrale in Amazzonia.
Altri temi che ci sfidano
Il Papa esprime al numero 85 dell’esortazione: l’inculturazione deve essere sviluppata e riflessa in un modo incarnato di attuare l’organizzazione ecclesiale e la ministerialità: Se la spiritualità si incultura, se la santità si incultura, se il Vangelo si incultura, come possiamo evitare di pensare a un’inculturazione del modo in cui i ministeri ecclesiali sono strutturati e vissuti?
La pastorale della Chiesa ha una presenza precaria in Amazzonia, dovuta in parte all’immensa estensione territoriale con molti luoghi di difficile accesso, grande diversità culturale, gravi problemi sociali e la scelta di isolarsi da parte di alcuni popoli. Questo non può lasciarci indifferenti e richiede una risposta specifica e coraggiosa dalla Chiesa.
Ci sono seri problemi nel territorio panamazzonico ed è per questo che alla chiesa sono richieste risposte nello stile di Gesù. Non possiamo rimanere nel comfort delle nostre case, auto, poltrone o con i nostri buoni cuscini nel letto. Dobbiamo abbandonare questo e riconfigurare la nostra ministerialità di servizio.
Bene, ora tocca ai vescovi e ai superiori delle congregazioni religiose adottare questo insegnamento e inviare persone preparate in Amazzonia. Roma ha un’alta presenza di sacerdoti, tra quelli che studiano e quelli che fanno carriera. Quale sarà l’ubicazione finale e reale di molti di loro? Continuano a mettere in discussione le vocazioni ministeriali e missionarie della chiesa. Lo afferma chiaramente il Papa quando indica che le persone hanno bisogno della celebrazione dell’Eucaristia perché questa ‘fa la Chiesa’ e arriviamo a dire che ‘non si costruisce nessuna comunità cristiana se questa non ha le sue radici e il suo centro nella celebrazione della Santa Eucaristia’. Se crediamo veramente che sia così, è urgente impedire alle popolazioni amazzoniche di essere private di quel cibo di nuova vita e del sacramento del perdono. Ecco perché vescovi e superiori ora «hanno la palla in campo».
[Traduzione dallo spagnolo all’italiano di Antonella Rita Roscilli]
Papa Francesco riceverà nella Basilica di San Pietro i leaders e gli
indigeni dell’Amazzonia, i quali nel primo giorno del Sinodo, insieme ai Padri Sinodali,
pregheranno e saranno in pellegrinaggio insieme per la Chiesa e per
l’Amazzonia: Casa Comune, «gettando
una sola rete verso le acque profonde dei nostri fiumi».
Medellin ha aperto il cammino dell’ascolto
P. Gustavo Gutiérrez nel suo libro “Da Medellín ad Aparecida” (2018) inizia
con un’affermazione che molto probabilmente tocca nel profondo del cuore Papa
Francesco e la Chiesa nella Panamazzonia; è la seguente:
«Bisogna mettersi in atteggiamento di ascolto, ma ascoltare presuppone, come prima cosa, uscire dal piccolo mondo in cui si sta».
Ed è giustamente con il Documento di Medellín, che la Chiesa
latinoamericana, dopo il Concilio Vaticano II – lo afferma Gustavo Gutiérrez nel suo libro -, ha intenzione di
adottare nuovi atteggiamenti e avere una migliore conoscenza della cruda realtà
latinoamericana che dimostra una percezione di inadeguatezza delle strutture
della Chiesa rispetto al mondo in cui vive.
In quegli anni, grazie all’appoggio del Dipartimento delle Missioni del CELAM, la Chiesa in Amazzonia iniziò il processo di «camminare insieme a» una realtà sociale e politica vissuta dai popoli di questa regione, allora poco conosciuta; e d’altra parte si cominciò a «camminare insieme a» una nuova coscienza ecclesiale che Medellín non ebbe paura di introdurre. Gustavo Gutiérrez lo dirà: si inizia a parlare «dei problemi dell’uomo latinoamericano, nel suo linguaggio e con le sue preoccupazioni».
Il dialogo e l’ascolto con le popolazioni originarie: un lungo
viaggio
L’immediato incontro sulle Missioni del 1968,
tenutosi a Melgar, in Colombia, e l’incontro a Caracas, in Venezuela, nel 1969,
hanno prefigurato quello che nel 1971, ad Iquitos, in Perù, sarà noto con il
nome Incontro
«transamazzonico» delle Missioni, che «fu come il punto di partenza di una Chiesa che vuole essere più fedele
alla sua missione, esprimendosi e realizzandosi come un’autentica Chiesa della
Selva o Chiesa Amazzonica ”, così come affermava il ricordato Mons. Miguel
Irizar, Vescovo di Yurimaguas. Questi incontri non solo denotavano la presenza
di vescovi, missionari, sociologi e antropologi, più o meno impegnati nella
complessa problematica dell’uomo e del mondo amazzonico, ma quel momento significò
anche l’inizio di un cambiamento sintomatico nell’atteggiamento e nel
conseguente impegno con azioni concrete, il cui obiettivo era quello di trovare
criteri e linee pastorali sempre più coerenti con la situazione di
emarginazione che vivevano (e ancora vivono) i nostri fratelli e sorelle della Selva.
Si trattava allora di quella convergenza di una Chiesa dal volto indigeno che iniziò a parlare di liberazione in Cristo, nel senso di riuscire a trovare una società più fraterna e giusta alla luce del Concilio Vaticano II. Seguirono poi le Assemblee Regionali Episcopali tenute a Pucallpa, in Perù, e parallelamente un’altra tenutasi ad Asunción, in Paraguay nel 1972. Viene ricordata anche l’Assemblea Regionale Episcopale di San Ramón nel 1973, che vuole esprimere il compito fondamentale che ha la Chiesa della Selva di formare una Chiesa Autoctona, di una Chiesa autenticamente amazzonica. Ma arriveranno altre assemblee: l’Incontro Internazionale di Chaclacayo, Lima nel 1974, l’Assemblea di Tarapoto nel 1975 che ha riaffermato alcune linee e obiettivi pastorali in particolare riferiti all’area dei ribereños[1] che costituisce senza dubbio quella porzione più numerosa che hanno le regioni pastorali. Altri incontri che non possiamo non menzionare, per l’importanza che rivestono in questo processo di ricerca dei processi di dialogo e ascolto, sono stati l’incontro di Manaus nel 1977 e di Tlaxcala, in Messico nel 1978. E se continuiamo a parlare di incontri ecclesiali, tutti i precedenti troveranno nella Conferenza di Puebla, in Messico, nel 1979, il momento chiave di una scelta chiara: l’unità tra i Vescovi, con i sacerdoti, i religiosi e i fedeli, che facendo professione di fede esprimono questo: «Crediamo nell’efficacia del valore evangelico della comunione e della partecipazione, per generare creatività, promuovere esperienze e nuovi progetti pastorali» e assumono una chiara opzione pastorale, «l’evangelizzazione della cultura stessa, nel presente e verso il futuro» e la riaffermazione della «opzione preferenziale per i poveri», già assunta dalla Conferenza di Medellin nel 1968.
Il Sinodo Amazzonico ha suscitato grande interesse da varie
parti
Cosa ci insegna questo excursus storico attraverso
la Chiesa latinoamericana post Vaticano II? La
Conferenza di Medellín, indubbiamente, non solo ha espresso l’interesse,
ma anche la preoccupazione da parte dei Vescovi e dei missionari, di studiare
l’evangelizzazione delle culture autoctone, cioè avere un profondo interesse
nell’affrontare il tema cultura dei
nostri popoli, e a ciò aggiungiamo quella chiarezza da parte della Chiesa
latinoamericana ad aprirsi sempre più ai processi
di ascolto e di partecipazione.
In questi giorni, con tutto il suo significato e la sua sfida, la convocazione fatta da Papa Francesco nel 2017 per un Sinodo Speciale per la regione Panamazzonica, ha suscitato grande interesse non solo in America Latina, ma anche nella Chiesa europea e nordamericana. Con un processo pre-sinodale, dove la partecipazione e l’articolazione in rete, e tutto un lavoro soprattutto di ascolto e di dialogo con le basi, si è potuto sviluppare un processo per camminare e ascoltarsi, nei nove paesi che compongono la regione Panamazzonica, in risposta alla chiamata fatta dall’enciclica Laudato si’. Questo è senza dubbio un processo che «Amazzonia: Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia Integrale» – questo il titolo dato da Papa Francesco al prossimo Sinodo, che si terrà a Roma dal 6 al 27 ottobre 2019 -, si è proposto di trovare.
Finchè si è intessuta la Rete
I popoli dell’Amazzonia, nel ricordare la visita che fece loro il Santo Padre nel gennaio 2018, hanno riportato alla memoria l’importanza di rafforzare il lavoro di discernimento e di ascolto che sta realizzando con la Chiesa, non in questi ultimi cinque anni, ma da decenni, come possiamo appurare nella storia contemporanea della Chiesa latinoamericana. In questo contesto, nel 2014, a seguito di questa desiderata partecipazione a Medellín e a Puebla, e nella prospettiva del Decreto Ad gentes e del desiderio di Francesco di essere una Chiesa che esce, nasce la Rete Ecclesiale Panamazzonica – REPAM, come «unainiziativa che scaturisce dall’azione dello Spirito Santo che guida la Chiesa nel processo di incarnazione del Vangelo nella Panamazzonia ».
Questo lavoro, prima del Sinodo che inizierà tra poco, ha significato, senza dubbio, il grande esercizio di «camminare insieme». É un lavoro che si è esteso in varie parti del mondo e che a Roma non poteva passare inosservato.
L’Amazzonia è arrivata a Roma
Così come Papa Francesco ha visitato i popoli dell’Amazzonia, ora, sono questi stessi popoli che gli ricambiano la visita. E ciò avviene nel quadro di una serie di attività che attorno a una «Tenda», – sotto l’ispirazione vissuta ad Aparecida nel 2007 con la Tenda dei Martiri – nella città di Roma ad portas del Sinodo, varie organizzazioni e istituzioni ecclesiali, insieme a congregazioni religiose e missionarie, agenzie e ONGs cattoliche, e con una significativa rappresentanza di leaders indigeni, nasce AMAZZONIA: CASA COMUNE.
Ad oggi sono oltre 240 le attività che si
svolgeranno dal 5 al 30 ottobre. Ogni giorno c’è una programmazione
diversa, da momenti di spiritualità a eventi culturali e accademici, così come a
tavole rotonde e conferenze, e senza dimenticare quegli spazi in cui la voce
dei protagonisti dell’Amazzonia: Casa Comune si farà sentire. Lì potremo ascoltare
da buona fonte cosa sta realmente accadendo con i popoli della Panamazzonia, le
loro lotte, le loro preoccupazioni, ma anche le loro proposte con tutta la loro
conoscenza e valori provenienti dai diversi popoli amazzonici, sia indigeni, ribereños e afro-discendenti. Non c’è
dubbio che la voce dei popoli indigeni in isolamento volontario e contatto
iniziale si lascia ascoltare tramite coloro che vengono a dirci cosa succede
realmente con queste popolazioni in costante vulnerabilità.
L’Amazzonia è arrivata a Roma, con i suoi volti e il suo fascino, tutti provenienti dalla stessa selva. I popoli amazzonici, con il remo in mano e regolando gambe e corpo, hanno deciso di
«navigare sulla canoa che ci conduce nelle profondità delle acque del Battesimo».
Hanno deciso di venire a Roma per dire a Francesco e ad ogni Padre Sinodale e partecipante al Sinodo, quali sono questi fiumi, che come braccia giganti formano una grande rete che vogliono lanciare nelle acque per pescare, come l’Apostolo Pietro, uomini e donne che annuncino il mandato di Gesù: Amatevi gli uni gli altri.
#amazoniacasacomun
Diversi incontri, un solo fine
Amazzonia: Casa Comune è colui che durante queste tre settimane vuole accompagnare il Sinodo con una preghiera costante, con suppliche, con canzoni, ma anche con un atteggiamento di dialogo e ascolto. Questo è esattamente ciò che significa Amazzonia: Casa Comune, è un insieme di iniziative che esprimono la continuità di un processo di ascolto che non è iniziato ieri, né l’anno scorso, né cinque anni fa.
Amazzonia: Casa Comune è quello spazio che vuole ascoltare la voce dei protagonisti, cioè i popoli amazzonici, la voce di coloro che li rappresentano e la voce di una Chiesa che vuole mantenere una presenza che non solo accompagni, ma anche una Chiesa chiamata ad uscire e convertirsi integralmente.
Le attività che si svolgeranno in Amazzonia: Casa Comune cominceranno con una Veglia e inaugurazione sabato 5 ottobre, nella chiesa di Santa Maria della Traspontina, punto focale nel mezzo di altri spazi che stanno a disposizione. Queste attività sono come una gamma di colori che esprimono la diversità propria dei popoli della selva. Avremo, ad esempio, la mostra fotografica «El jaguar de Chiriquete», portata da Adveniat dalla Colombia. Un’ altra mostra importante verrà realizzata dalla Red Iglesia y Mineria. Anche nella città di Milano il PIME, tra le altre inziative, ha preparato una mostra dal titolo «Il grido dell’Amazzonia».
Ci saranno momenti di spiritualità amazzonica e
martiriale animati dall’ Equipe Itinerante proveniente dalle frontiere del Brasile,
Perù, Colombia e Bolivia. Molte le attività di sensibilizzazione, tra cui vari
tavoli di riflessione e dibattito come «Esperienze dei popoli indigeni nella
difesa e cura dei loro territori», promosse dal Consiglio Missionario
Indigeno del Brasile. Avremo attività che ci porteranno testimonianze e
risposte comunitarie all’espansione dell’agroindustria e dell’estrattivismo in
Amazzonia; la presentazione del Rapporto sui Diritti Umani dei Popoli della
Panamazonia; la presentazione dell’Atlante Panamazzonico; la discussione sul
ruolo che svolge la donna in Amazzonia, tra gli altri.
Tra gli eventi accademici si evidenzia: «Voci
indigene». Riflessione teologica che si terrà presso la Pontificia
Università Antonianum di Roma. Così come l’incontro di leaders indigeni con
studenti e professori della Facoltà Teologica dell’Italia meridionale di
Napoli. Varie proiezioni di video e documentari che narrano la vita e la situazione
dei popoli amazzonici. Oltre a spazi di formazione e informazione per
giornalisti e interessati chiamati: Conversazione – Comunicazione, Ambiente e Popoli
Indigeni.
Non possiamo non menzionare un evento molto
importante che si svolgerà in un quadro di dialogo interculturale, chiamato Laudato si’. Incontro e Solidarietà,
nord e sud. Sarà uno spazio in cui i leaders indigeni dell’Amazzonia e i leaders
indigeni del Nord America si siederanno gli uni di fronte agli altri per
discutere di ciò che sta accadendo nei rispettivi territori. Infine, invitiamo
tutti a partecipare il 19 ottobre al PELLEGRINAGGIO
PER L’AMAZZONIA, che ha l’obiettivo di unirci nella preghiera e camminare
insieme, Padri Sinodali e Amazzonia: Casa Comune, con tutto il Popolo di Dio,
per innalzare le nostre preghiere e canti a Dio Padre e Creatore che ci chiama
alla conversione integrale.
Un grande missionario proclamato beato da Giovanni Paolo II già novant’anni fa scriveva: «Spogliare per quanto è possibile la religione cristiana dalle sue forme occidentali non necessarie e rivestirla in ogni Paese di forme indigene…»
Il beato PAOLO MANNA
Visitando Catania, ai piedi del monte Etna, qualche settimana fa guardavo attentamente come il vulcano non è solo un fenomeno naturale che rimane attivo, l’Etna è veramente il protagonista di una lunga storia che coinvolge a tutta l’Italia. Quando ci fermiamo di fronte all’Etna, anche solo per un attimo e lo guardiamo con attenzione, possiamo sentire che l’attività vulcanica aspetta il momento opportuno per esplodere, come lo ha fatto tante volte.
L’Etna è un simbolo in questa regione italiana. L’Etna potrebbe rappresentare un segno, che annunzia un cambiamento, se ci fermiamo a riflettere che cosa stiamo facendo con il nostro pianeta. L’Etna è un segno che rappresenta quel grido profondo della Casa comune, che soffre a causa dell’intervento umano cattivo, che pensa solo allo sfruttamento di risorse, per il beneficio di pochi. Dobbiamo fare attenzione a questo fumo bianco, che sale verso le nubi, consegnandoci un sublime messaggio dall’interno della natura.
Sono venuto a Catania con la comunità missionaria del Pime (Pontificio Istituto Missione Estere) e un bel gruppo dei laici, che fanno un percorso formativo per poi andare in missione. Ho parlato dell’enciclica Laudato Si’, e abbiamo condiviso il tema: «Il grido dell’Amazzonia», tema centrale, che ha coinvolto tutti noi.
P. Giuseppe Filandia, missionario del PIME visitando i villaggi nella foresta amazzonica brasilera
In questa comunità dei missionari, ho trovato padre Giuseppe Filandia, con il quale ho parlato dell’argomento cui i media europei hanno dato spazio, due settimana fa, all’interno del contesto che vive la Chiesa cattolica, che si prepara al prossimo Sinodo sull’Amazzonia (Roma, 6 – 27 ottobre 2019). Infatti, il punto di scontro è proprio il numero 129 dell’Instrumentum Laboris, che nel secondo comma, dice: «Affermando che il celibato è un dono per la Chiesa, si chiede che, per le zone più remote della regione, si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i Sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana».
Padre Giuseppe Filandia, un missionario siciliano che ha avuto una bella e lunga esperienza missionaria – più di 25 anni – tra i popoli indigeni «Dall’Amazonas alle Barriere Coraline», come titola il suo libro (Book Sprint ed., 2017), mi diceva che il beato Paolo Manna, nel 1929, mentre era Superiore generale del PIME, aveva scritto un promemoria provocatorio per Propaganda Fide. Lo scrisse dopo un lungo viaggio attraverso le missioni in diversi continenti. Lo scritto si intitola «Osservazioni sul metodo moderno di evangelizzazione» e chiede cambiamenti rivoluzionari nel «metodo di evangelizzazione», appunto. Vi si legge: «rifiutare l’occidentalismo, liberarsi dalla protezione interessata delle potenze occidentali, educare i sacerdoti locali, secondo programmi diversi da quelli usati in Occidente; abolire il latino e il celibato per favorire una maggior partecipazione degli indigeni al sacerdozio nelle missioni, consacrando i migliori catechisti dove mancano assolutamente sacerdoti».
Veramente, sono rimasto sorpreso di trovare questa lettera scritta dal beato Paolo Manna. Un visionario e un precursore della missione della Chiesa. Conosciuto come «un Santo seccatore», «un missionario scomodo», «un temerario», «il Cristoforo Colombo della nuova cooperazione missionaria», «uno dei più efficaci promotori dell’universalismo missionario nel secolo XX», senza dubbio, un sacerdote con una straordinaria passione per la missione nella Chiesa.
Per il beato Paolo Manna, sottolinea Giuseppe Filandia, «il punto principale della missione era proprio aiutare questi popoli a conservare la propria identità. Gli africani, africani! Non occidentalizzati! Non portiamoli in Italia per far perdere la cultura, il senso africano. I cinesi specialmente. Perché c’è stato il fallimento del culto cinese? Perché i missionari volevano creare missionari a propria immagine e somiglianza, ciò occidentalizzati. E padre Manna si è reso conto che queste cose non aiutavano assolutamente la propaganda missionaria di evangelizzazione, ma addirittura erano e sono di ostacolo… La mentalità nostra era di formare sacerdoti secondo la nostra cultura, la nostra educazione, i nostri insegnamenti. Padre Manna diceva: che cosa pretendete da questi africani, da questi cinesi? Che insegnino latino o materie che non hanno niente che vedere con la loro cultura e con la loro evangelizzazione? Quindi, non soltanto il latino, ma anche la filosofia, cioè quel curriculum di studi occidentali, dovevano essere aboliti per dare spazio alla cultura locale, in modo da formare sacerdoti per il loro popolo: essere sacerdoti, conservando la propria cultura. Manna parla anche di celibato. È chiaro: Padre Manna è un santo, quindi crede al celibato, crede nella consacrazione totale a Gesù, ma pretendere, che questi popoli vivano il celibato come lo vogliamo noi, era realmente un impedire a molti giovani di diventare sacerdoti. E se lo diventavano, vivevano, purtroppo, una doppia vita morale. E questo logicamente non aiuta l’evangelizzazione, non aiuta la santità dei preti, ma è un vero ostacolo».
Alla fine dell’intervista, padre Giuseppe Filandia aggiunge: «Dopo cinquanta anni di missione in Brasile e in Papua, posso assicurare che, continuando con questo stile di formazione dei preti locali, noi stiamo sbagliando. Bisogna parlare del celibato come da un modo per donarsi totalmente a Cristo, ma non tutti, anzi la maggior parte, non si sente di seguire Cristo attraverso un cammino, che è una legge umana. Cristo non ha niente a che vedere con il celibato. Sì, lui ha dato un consiglio, che resta un consiglio. Ma penso che Gesù oggi voglia i suoi sacerdoti consacrati per il popolo, secondo la loro cultura, secondo le loro tradizioni, in modo da essere persone in mezzo al proprio popolo, accettate dalla propria gente».
Dunque, avendo vissuto questa esperienza in Sicilia, insieme a questa comunità missionaria, rimane in me quell’immagine dell’Etna, quel fumo che continua a salire verso il cielo. E intanto mi domando: cosa c’è nel profondo di questo vulcano che nessuno può vedere, ma è capace di far tremare tutta questa regione dell’Italia? Che tipo di energia, forza, vitalità, vigore è questa?
Oggi l’«opzione convinta per la difesa della vita, per la difesa della terra e per la difesa delle culture» passa anche attraverso il Sinodo per l’Amazzonia
Mentre Bergoglio diceva loro che «la Chiesa non vuole essere estranea al vostro modo di vivere», l’Italia e il resto del mondo hanno già dimenticato quell’incontro eccezionale. Il Papa latinaomericano ha sottolineato che è «imprescindibile compiere sforzi per dar vita a spazi istituzionali di rispetto, riconoscimento e dialogo con i popoli nativi; assumendo e riscattando cultura, lingua, tradizioni, diritti e spiritualità che sono loro propri». Ma cosa significa? Che tipo di messaggi stano arrivando alla Chiesa qui, in questa parte del pianeta? Chi sono i cosidetti popoli indigeni dell’Amazzonia?
Una volta, una giornalista dell’Ecuador, Milagros Aguirre, ha fatto un’intervista a un vecchio missionario nell’Amazzonia. Ricordando la sua prima esperenza tra i popoli indigeni e meticci nell’Amazzonia peruviana, lui ha raccontato: «…Il meticcio si crede superiore all’indigeno, lo disprezza e gli sottrae valore, crede di avere il diritto di «civilizare» l’indio, d’imporre la sua maniera di vedere il mondo riguardo il progresso o lo sviluppo. Non concepisco quell’affano omogeneizzante di un Occidente che vuole tutti protetti dalle sue leggi, norme o religioni e che si impone sui più piccoli, sui deboli, sui differenti, sulle minoranze; è come se l’Occidente si credesse un Dio, capace di modellare a sua immagine e somiglianza tutti gli esseri umani. Semplicemente, ormai non capisco il mondo occidentale». Erano le parole di Marcos Mercier, un francescano canadese che ha abitato con il popolo kichwa del Napo più o meno 35 anni della sua vita, fino alla morte.
Padre Mercier ha anche ricordato alla giornalista l’immagine delle «prime tribù amazzoniche, che venuti in contatto con i conquistatori spagnoli, dopo avere resistito alle invasioni nel 1538 e 1541, vennero «pacificati», divisi in varie commende e ridotti in schiavitù». Ma dopo cinque secoli un Papa ha detto loro: «Sono voluto venire a visitarvi e ascoltarvi, per stare insieme nel cuore della Chiesa, unirci alle vostre sfide e con voi riaffermare un’opzione sincera per la difesa della vita, per la difesa della terra e per la difesa delle culture». Immaginate che festa! C’erano lì circa 4mila rappresentanti delle tribù indigene amazzoniche, che ascoltavano queste parole di speranza.
Oggi l’«opzione convinta per la difesa della vita, per la difesa della terra e per la difesa delle culture» passa anche attraverso il Sinodo per l’Amazzonia che Papa Francesco ha convocato per quest’anno 2019. Un Sinodo speciale che vuole ascoltare, che rappresenta una sfida per tutta la Chiesa, non soltanto per i contenuti di cui discuteranno i vescovi insieme a Papa Francesco, ma per tutte le proposte che porteranno con sé ognuno di quelli che saranno qui a Roma, tra pochi mesi.