di Roberto Carrasco, OMI
La Chiesa «con volto indigeno» ha sulla scrivania una speciale proposta per aprire tanto il dialogo come il discernimento a Roma
Ci si chiede che cosa porterà il prossimo Sinodo sull’Amazzonia, che si svolgerà a Roma del 6 al 27 ottobre. Ci sono diverse reazioni, con una certa preoccupazione da parte della cosiddetta «ala tradizionalista» della Chiesa in Germania. A che punto siamo? è la domanda che si pongono diversi vescovi, preti e laici.

Al centro dovrebbe esserci la problematica ecologica che l’encicilica «Laudato Si» presenta: «inquinamento, rifiuti e cultura dello scarto, del clima, della questione dell’aqua, perdita della biodiversità, deterioramento della qualità della vita umana e degrado sociale, inequità planetaria, eccetera», che avrà un grandissimo impatto sociale e culturale proprio in tutta la regione panamazzonica. Ultimamente però i media europei hanno dato spazio alla preocupazione sulla possibilità della ordinazione tanto delle donne diacono, come degli uomini sposati, puntando il mirino dell’informazione su qualsiasi intervento di qualche vescovo tedesco, sapendo che l’opinione pubblica è divisa sul tema.
Ma, in realtà quali sono i temi che preocupano la Chiesa in questa parte del mondo? La cosiddetta Chiesa «con volto indigeno» ha sulla scrivania una speciale proposta per aprire tanto il dialogo come il discernimento a Roma. È importante ricordare i contenuti del Documento Preparatorio (dell’08 giugno 2018) intitolato: «Amazzonia: Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia Integrale».
Ascoltare i popoli indigeni
Vediamo, tra i punti principali, quelli che interessano l’intera regione panamazzonica. Innanzitutto, ascoltare i popoli indigeni e tutte le comunità che vivono in Amazzonia (rappresentano quasi 390 popoli e nazionalità differenti; una presenza di circa tre milioni di indigeni; esistono nel territorio fra i 110 e i 130 Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (PIAV) o «popoli liberi»), come primi interlocutori di questo Sinodo.
La loro situazione sociale è segnata dall’esclusione e dalla povertà (DAp 89), ma ci sono organizzazioni indigene che cercano di approfondire la storia dei loro popoli, per orientarne la lotta per l’autonomia e l’autodeterminazione: «È giusto riconoscere che esistono iniziative di speranza che sorgono dalle vostre stesse realtà locali e dalle vostre organizzazioni e cercano di fare in modo che gli stessi popoli originari e le comunità siano i custodi delle foreste, e che le risorse prodotte dalla loro conservazione ritornino a beneficio delle vostre famiglie, a miglioramento delle vostre condizioni di vita, della salute e dell’istruzione delle vostre comunità» (Fr.PM).
I nuovi colonialismi
Un altro punto importante riguarda il fatto che si impongono nuovi colonialismi ideologici mascherati dal mito del progresso, che distruggono le identità culturali proprie e il «buon vivere» parte fondamentale della loro spiritualità e saggezza. Ci ricorda Papa Francesco, che nell’opera di evangelizzazione non si può «mutilare l’integralità del messaggio del Vangelo» (EG 39). Quindi, si «esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale» (EG 165), e, soprattutto, gli domanda di assumere e assimilare la convinzione che «tutto è collegato». Questo implica ascoltare oggi il grido che l’Amazzonia eleva al Creatore, questo grido è simile al grido del Popolo di Dio in Egitto (cf. Es 3,7). È un grido di schiavitù e di abbandono, che domanda la libertà e l’attenzione di Dio. Un ascolto che ha nell’ecologia integrale una chiave per camminare insieme come Popolo di Dio.
La presenza della Chiesa
Pertanto, l’Assemblea Speciale per la Regione Panamazzonica ha bisogno di un grande esercizio di ascolto reciproco, specialmente di un ascolto tra il popolo fedele e le autorità magisteriali della Chiesa. Una delle cose principali da ascoltare è il gemito «di migliaia di comunità private dell’Eucaristia domenicale per lunghi periodi» (Documento Aparecida 100, e). Questa Chiesa dal volto amazzonico sa che «essere Chiesa è essere Popolo di Dio», incarnato «nei popoli della terra» e nelle loro culture (EG 115).
La Chiesa è chiamata ad approfondire la sua identità mettendosi in relazione con le realtà dei territori in cui vive e ad accrescere la propria spiritualità con un esercizio continuo di discernimento. In questo tema, la Repam (Rete Ecclesiale Panamazzonica) ha giocato un ruolo fondamentale nell’elaborazione di proposte e nuove linee d’azione.
La Chiesa dell’Amazzonia ha preso coscienza che, a causa delle immense distese territoriali, della grande varietà dei popoli e dei rapidi cambiamenti degli scenari socio-economici, la sua pastorale non riusciva a garantire che una presenza precaria. Una missione incarnata esige di ripensare la scarsa presenza della Chiesa in rapporto all’immensità del territorio e alla sua varietà culturale.
La Chiesa dal volto amazzonico deve «ricercare un modello di sviluppo alternativo, integrale e solidale, fondato su un’etica attenta alla responsabilità per un’autentica ecologia naturale e umana, che sia radicata nel Vangelo della giustizia, nella solidarietà e nella destinazione universale dei beni; che superi la logica utilitarista ed individualista, che rifiuta di sottoporre ai criteri etici i poteri economici e tecnologici» (DAp 474, c).
La questione delle donne
Un’altra priorità è quella di proporre nuovi ministeri e servizi per i diversi agenti pastorali, che rispondano ai compiti e alle responsabilità della comunità. In questa linea, occorre individuare quale tipo di ministero ufficiale possa essere conferito alla donna, tenendo conto del ruolo centrale che le donne rivestono oggi nella Chiesa amazzonica. È altresì necessario sostenere il clero indigeno e nativo del territorio, valorizzandone l’identità culturale e i valori propri. Infine, bisogna progettare nuovi cammini affinché il Popolo di Dio possa avere un accesso migliore e frequente all’Eucaristia, centro della vita cristiana (cf. DAp 251).

Una spiritualità interculturale
La Chiesa e tutto il Popolo di Dio, con i suoi vescovi e sacerdoti, religiosi e religiose, missionari e missionarie, religiosi e laici, è chiamata a entrare con cuore aperto in questo nuovo cammino ecclesiale. Siamo chiamati come Chiesa a rafforzare il protagonismo dei popoli: abbiamo bisogno di una spiritualità interculturale che ci aiuti a interagire con le diversità dei popoli e con le loro tradizioni. Dobbiamo aggregare le forze per prenderci insieme cura della nostra Casa Comune.
Dunque, dopo avere letto questa realtà, ci aspettiamo il documento finale. Secondo mons. Fabene avremo «a breve la stesura dell’Instrumentum Laboris» del prossimo Sinodo del 2019.